Per gli appassionati cinefili, il noir è uno dei generi più particolari, sfuggenti e “di culto”. Nonostante possieda delle caratteristiche ben definite, il termine è spesso abusato ed associato a pellicole la cui unica peculiarità è essere ricche di omicidi e atmosfere cupe. Se è vero che i generi non sono altro che giochi di etichette date dagli addetti ai lavori e dagli spettatori per definire e catalogare il prodotto cinematografico, in questo post vorrei fare un po’ di chiarezza su un canone stilistico che amo da sempre.
Il noir è più uno stile che un genere, per questo si presta poco a divagazioni sul tema. L’incarnazione cinematografica deriva pesantemente dall’eredità di una produzione letteraria di qualità (Hammett, Chandler, Woolrich) che si andava a discostare, per trama e personaggi, dalla tradizione del giallo poliziesco ad enigma, quello di Agatha Christie ed Ellery Queen. Il termine stesso non è altro che la dicitura francese della parola “nero”, con la quale si etichettavano le opere appartenenti a questo sottogenere.
Accanto ai contenuti, una componente essenziale è determinata dagli accorgimenti tecnici, ereditati dal seminale movimento dell’espressionismo tedesco, che negli anni a cavallo del conflitto mondiale esportò ad Hollywood la crema dei suoi talenti (Lang, Wilder, Preminger), che non a caso diverranno le punte di diamante del genere. Un altro fattore importante nell’affermazione del noir lo ebbe la limitatezza dei fondi nelle produzioni durante il periodo bellico: nessuno poteva più permettersi di realizzare opere costose e complesse come Il Mago di Oz oppure Via col Vento. Molti critici della prima ora confusero i bassi costi con la bassa qualità, e molte pellicole divenute con i decenni dei cult vennero inizialmente catalogate come film di serie B.
Sebbene nel corso dei decenni con il termine noir siano state etichettate molte pellicole, il periodo d’oro classico viene fatto coincidere con il ventennio che va dal 1941 al 1959. Per i puristi il noir si esaurisce durante quest’arco temporale, e tutto quel che è venuto dopo si limita ad essere una pallida imitazione o parodia.
Nella definizione canonica e stilistica del noir, molti elementi sono più che ricorrenti, sono tassativi, ed un’eventuale assenza pregiudicherebbe, nel giudizio della pellicola, l’appartenenza stessa al filone.
- L’ambientazione tipicamente urbana e notturna
- Il forte contrasto nell’illuminazione
- L’ambiguità di fondo delle situazioni e dei personaggi
- La violenza e la tensione, nelle parole come nelle azioni
- L’assenza di centralità dell’eventuale intreccio giallo
- Il finale non consolatorio, il più delle volte tragico
Il capostipite del genere viene solitamente individuato ne Il mistero del falco (The Maltese Falcon, 1941), estratto proprio da un romanzo di Hammett; più ardua l’individuazione del crepuscolo del filone, un pensiero ricorrente nella critica considera L’infernale Quinlan (Touch of Evil, 1958), di e con Orson Welles, come il trionfale e ineluttabile epilogo del noir.
Cosa c’è tra queste due pietre miliari? Possiamo distinguere almeno tre sottogeneri, ben distinti tra di loro, che si sono succeduti nell’arco del ventennio d’oro:
- Il noir investigativo, più incentrato in luoghi chiusi, dialoghi intensi, con un private eye (o un poliziotto) come protagonista
- Il noir realista, ambientato tra le strade, più legato alla denuncia sociale e politica
- Il noir psicologico, che preferisce indagare nell’intimo dei personaggi, cogliendone istinti e debolezze
Cos’ha causato il declino del noir? In parte l’esigenza, nell’epoca del maccartismo, di mostrare una condizione umana meno ambigua e più morigerata, in parte una situazione post-bellica di forte ripresa economica che ha inciso sia nei gusti dell’audience (storie più “ottimiste”), sia nella realizzazione delle pellicole (budget più elevati).
Le star
Alan Ladd: bello, dallo sguardo duro, sofferente e misterioso, fu per quasi tutta la carriera relegato a film di basso costo che, grazie alla sua presenza, ottenevano comunque grandi riscontri al botteghino. Ideale come interprete di personaggi eroici, cupi e solitari, la sua carriera sembrava destinata ad esaurirsi nell’età d’oro del noir, ma ebbe un sussulto negli anni Cinquanta, quando interpretò Shane nel western “Il cavaliere della valle solitaria”. Dopo questa pellicola fece poco altro, ma era ormai nella leggenda.
Veronica Lake: il personaggio femminile più riconoscibile, grazie alla pettinatura peekaboo bang che le copriva parte dell’occhio destro rendendola ancor più “misteriosa”, era una donna di una bellezza elegante e suadente. L’accoppiata con Alan Ladd nacque per ragioni di “altezza” (erano entrambi molto bassi), ma funzionò più che bene, producendo gioielli come “Il fuorilegge” e “La chiave di vetro”. Diagnosticata fin da giovane con un principio di schizofrenia, ebbe una carriera breve (nella seconda metà degli anni Quaranta era già in rapido declino) ed un’esistenza infelice, colpita da lutti e conclusasi precocemente in una clinica psichiatrica.
Humphrey Bogart: seppur assurto a gloria eterna come una delle più grandi star hollywoodiane di sempre, Bogart ha visto nascere la sua carriera d’alto profilo proprio grazie al noir “Il Mistero del Falco”. Relegato per anni in gangster movie non memorabili, nel ruolo dell’investigatore privato non privo di macchia e di dubbi “Bogie” ha modo di esprimere tutta la sua arte scenica e drammatica, tra cui la maschera del volto, le movenze cadenzate, i dialoghi intensi. Ne “Il grande sonno” offre un’interpretazione leggendaria ed iconografica del detective Marlowe, ma negli anni Cinquanta dimostrerà di essere efficace anche in altre vesti, arrivando all’Oscar per “La regina d’Africa”.
Lauren Bacall: bella e sinuosa, fu il contraltare ideale per Bogart, che la sposò nel 1945 pur avendo venticinque anni più di lei. Recitò con il marito ne “Il Grande Sonno” e ne “La Fuga”, una pellicola sperimentale con tutta la prima parte girata in soggettiva del protagonista e dove il ruolo della donna è ancor più centrale.
Robert Mitchum: fu l’attore più a lungo legato al genere, tanto da reinterpretare ruoli anche in età matura. Fisicamente portato a rappresentare dei personaggi freddi e pericolosi, interpretò decine di pellicole considerate B-movie, portandole spesso al successo di botteghino. Tra queste non è possibile non citare “Notte d’angoscia” e “Le catene della colpa”. Con gli anni si proverà a riciclare anche nella commedia e nel western, con minor fortuna.
Filmografia essenziale
La chiave di vetro (1942)
Angoscia (1944)
Bibliografia essenziale
Storia del noir. Dai fantasmi di Edgar Allan Poe al grande cinema di oggi
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