C’è ancora domani
Scheda del Film
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Recensione
Il rischio nel realizzare un film come “C’è ancora domani” era duplice: mettere in scena un’opera citazionista e cinefila del neo-realismo, o (peggio) realizzarne una versione quasi parodistica. Paola Cortellesi schiva le due pallottole con una scrittura ispirata e ben centrata (coadiuvata da Giulia Calenda e Furio Andreotti), che media tra l'”alto” del cinema d’autore e il “basso” del cinema popolare proponendo una storia didascalica, quasi pedagogica, sull’emancipazione femminile.
I punti forti sono da cercarsi proprio nella sceneggiatura, che riesce a raccontare una storia legittimamente databile nel 1946 con la sensibilità e l’attenzione al dettaglio odierna. Non c’è quasi mai la sensazione di un neo-realismo fake, neanche con il bianco e nero e certe accortezze estetiche che richiamano più o meno direttamente un mix tra De Sica, Rossellini, Lattuada e Blasetti. La scrittura prende per mano lo spettatore e lo porta a pensare ad una conclusione (impensabile per il 1946), per poi propinargli una brillante lezione civica.
Molte cose riescono, come la violenza sottintesa: non si vede mai Ivano picchiare Delia, solo in un caso ci viene mostrata la scena a mò di balletto, le restanti volte vengono chiuse porte e finestre, gli altri personaggi (e lo spettatore) restano fuori. Altre cose riescono meno: ci sono almeno un paio di forzature nella sceneggiatura che stonano con la verosomiglianza che questo film ha con l’epoca a cui si riferisce, e sebbene l’uso di una colonna sonora più moderna e basata sul cantautorato sia efficace, gli sketch ballati alla “Tutti pazzi per amore” assomigliano più ad una stonatura.
Il casting è azzeccato, anche la scelta di attrici dalla postura scenica borderline tra commedia e dramma (penso ad Emanuela Fanelli) è propedeutica ad un film che si muove agilmente tra la risata e il disagio per la situazione di sottomissione di Delia e delle altre donne. Valerio Mastandrea ha l’ingrato compito d’interpretare il marito manesco, e se la cava con un’interpretazione di livello. Meno centrato il personaggio del suocero, un Giorgio Colangeli in una versione incattivita di un classico ruolo “alla Aldo Fabrizi”.