Everything Everywhere All at Once
Scheda del Film
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Recensione
Che bello quando dalle parti di Hollywood (anche se quella più indie) arrivano un soggetto e una sceneggiatura originali! Per un volta possiamo risparmiarci il “tratto da”, il remake/reboot di qualcosa, o semplicemente lo sfruttamento di una costosa e redditizia proprietà intellettuale. Everything Everywhere all at once è un clamoroso accumulo di idee montate con lo spirito di un folle su un impianto visivo da urlo. Diviso programmaticamente in tre parti come il titolo, il film è ricco di citazioni implicite ed esplicite (Ratatouille) e mostra la sua deferenza per almeno due classici blockbuster delle decadi passate: Grosso guaio a Chinatown (per l’aspetto comedy e il casting di star asiatiche) e Matrix (per il riferimento ai multiversi, e la gestione dei segmenti di combattimento).
Ed ecco che nella prima parte del film (“Everything“) tutto funziona veramente bene: c’è la comedy, c’è l’azione, c’è una clamorosa Michelle Yeoh, ci sono scelte estetiche strampalate e tanto fan service (spassosissima Jamie Lee Curtis). Pur non essendo un film “calcista”, EEAAO richiama molto certi film di Hong Kong con Jackie Chan (non a caso prima scelta per il ruolo da protagonista), tuttavia già durante la prima ora c’è il teasing della metafora della famiglia disfunzionale che diviene preponderante nella seconda e terza parte. Il tema dei legami familiari che legano e al tempo stesso sostengono ogni suo membro diventa portante e decisamente prolisso (in totale sono 2 ore e 20 minuti di film).
Sembra come se i due registi (Daniel Kwan e Daniel Scheinert, in arte i Daniels) ci avessero attratti a guardare questo film con i fuochi d’artificio iniziale, per poi somministrarci il sermone.