Fountain of Youth – L’eterna giovinezza
Tra leggenda e realtà.
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Recensione
Guy Ritchie ci ha abituati a un cinema spigliato, ritmato, spesso grottesco ma pieno di stile. Con Fountain of Youth (2025), però, il regista britannico firma un prodotto che tradisce completamente le sue stesse premesse estetiche e narrative. Un film nato per essere un’avventura leggera e coinvolgente, e che invece si rivela un pasticcio incoerente, sfilacciato e, cosa più grave, clamorosamente privo di fascino.
L’ispirazione a Indiana Jones è dichiarata e invadente, al punto da diventare una zavorra. Non c’è nulla che sembri autentico o anche solo moderatamente originale: la mappa antica, l’enigma pseudo-mistico, le trappole nei templi, i doppiogiochisti, la reliquia che promette l’eterna giovinezza. Tutto sembra uscito da un generatore automatico di soggetti, dove cliché e stereotipi si incollano senza coerenza o visione. La sceneggiatura — un collage narrativo raffazzonato — alterna situazioni da commedia slapstick a momenti che vorrebbero essere intensi o drammatici, ma che risultano ridicoli nel contrasto.
Il problema principale è che Fountain of Youth non riesce mai a costruire un mondo credibile o a farci credere nelle sue regole. La sospensione dell’incredulità, essenziale in un film d’avventura, viene continuamente sabotata da forzature logiche, transizioni emotive brusche e una gestione del tono disastrosa.
Il disastro si consuma definitivamente con la scrittura e il casting dei protagonisti. John Krasinski e Natalie Portman dovrebbero interpretare due fratelli avventurieri con visioni opposte sulla vita — lui più scanzonato, lei più razionale — ma la chimica è nulla, la dinamica familiare non funziona mai, e la credibilità è inesistente. Krasinski, forse convinto di essere ancora nei panni di un impacciato agente segreto da sit-com, non riesce a reggere il peso dell’eroe d’azione, mancando totalmente di carisma. Natalie Portman, invece, sembra completamente fuori parte: impacciata nei momenti brillanti, esagerata in quelli emotivi, interpreta una versione caricaturale di sé stessa, al limite dell’involontariamente comico.
Il resto del cast è altrettanto anonimo, con comprimari scritti solo per riempire lo sfondo e un villain che, pur con un twist finale (prevedibilissimo fin dal secondo atto), non lascia il minimo impatto emotivo o tematico. Il cambio di tono nel rivelare il suo tradimento è così goffo e repentino che sembra quasi una parodia, rendendo l’intero terzo atto un’esercitazione di involontario umorismo.
Uno dei peccati capitali di Fountain of Youth è l’assoluta indecisione sul target di riferimento. La prima metà del film, con i suoi momenti giocosi e i battibecchi da commedia familiare, fa pensare a un prodotto orientato a un pubblico generalista. Poi, però, arrivano sparatorie sanguinose, cadaveri e un body count che smentisce qualunque velleità di intrattenimento per famiglie. Questo continuo oscillare tra toni e generi non solo disorienta lo spettatore, ma evidenzia l’assenza totale di una direzione creativa solida.
Ritchie, va detto, sa ancora girare bene le scene d’azione. Gli inseguimenti sono dinamici, i combattimenti hanno ritmo e leggibilità, e qua e là affiorano sprazzi del suo stile visivo. Ma questi momenti, per quanto ben coreografati, sono isolati e immersi in una struttura narrativa talmente debole da perdere qualsiasi efficacia.