Moe Berg è stato un buon ricevitore della Major League di baseball degli Anni Trenta. Non un fenomeno, non uno da mettere nella stessa frase con Babe Ruth o Lou Gehrig, ma uno che si è fatto la sua carriera da professionista, ed è riuscito a farla durare quindici anni. In realtà, Berg era qualcosa di più di un semplice giocatore di baseball: un passato accademico tra Princeton e Columbia, era estremamente colto, parlava sette lingue ed era riservatissimo. Il profilo ideale per una spia, professione che svolse durante la Seconda Guerra Mondiale. Un personaggio da film, insomma.
Il film si basa largamente sull'omonima biografia scritta negli Anni Novanta da Nicholas Dawidoff. Ammirevole ricerca su qualcuno morto da più di vent'anni, ma anche tante supposizioni. Berg era un tipo quantomeno eccentrico che non si era lasciato bene con la CIA nel dopoguerra, passando il resto della vita senza un'occupazione se non quella di farsi mantenere dai famigliari. Molti segreti se li è portati nella tomba, con buona pace dei più valenti biografi.
Il film, il cui titolo originale gioca con il capolavoro di J.D. Salinger, si muove dunque con eccessiva circospezione attorno alla figura di Berg, fallendo nel caratterizzarlo. Il personaggio interpretato da Paul Rudd potrebbe essere stata veramente la spia perfetta, così sfuggente e imperscrutabile, tuttavia la sua versione cinematografica finisce per essere poco memorabile per lo spettatore. E' ebreo, però non mostra alcuno spiccato desiderio di andare a combattere chi sta cercando di sterminare il suo popolo, ha una vita sentimentale con tendenze alquanto ambigue e irrisolte, dimostra capacità intellettive superiori alla media ma non sembra avere alcuna idea su come metterle a frutto, lasciandosi trascinare dagli eventi. La riservatezza di Berg viene usata a pretesto per tenere distante lo spettatore, il mistero che lo avvolge assomiglia più all'incompiutezza.
L'opera diretta da Ben Lewin non fallisce solo come film biografico, ma è zoppicante anche come film di spionaggio tout court. La trama è alquanto banale e lineare, non assistiamo a twist narrativi degni di nota, il finale è "telefonato" quanto basta per non farci alzare alcun sopracciglio. La noia che circonda questa pellicola non viene smorzata né dalla buona ricostruzione storica, né dall'ottimo cast in azione.
Il ricevitore è la spia
Il Verdetto
Il "ricevitore è la spia" è un film che rinnova l'importanza, nei film biografici, di una sceneggiatura di livello. Alla conclusione della pellicola si conosce il protagonista come dopo aver letto il suo profilo su Wikipedia. Questo lungometraggio di Ben Lewin è fallimentare sia nel canone biografico che in quello spionistico.