Il 5 gennaio 1895 il capitano Alfred Dreyfus, un giovane soldato ebreo, viene accusato di essere una spia della Germania e condannato all'ergastolo sull'Isola del Diavolo. Tra i testimoni della sua umiliazione vi è Georges Picquart, che è promosso invece alla direzione dell'unità di controspionaggio militare che lo ha incastrato. Quando però scopre che informazioni segrete arrivano ancora ai tedeschi, Picquart viene trascinato in un pericoloso labirinto di inganni e corruzione che minaccia non solo il suo onore ma anche la sua stessa vita.
Quant'è profondo (o ben camuffato) l'intento autobiografico di Roman Polanski in un film del genere? Forse molto più di quel che possiamo immaginare, ma preferisco focalizzarmi sull'opera artistica, dato che l'opera umana non è per niente difendibile. Per il primo punto, quindi, il film in sé è bello e coinvolgente: un lungometraggio storico-processuale che non lascia da parte i dettagli ed espone l'antisemitismo istituzionalizzato della Francia del 1890, basandosi sulla pubblicazione di J’accuse di Emile Zola, una lettera aperta al Presidente della Repubblica che, come noto, sollevò il coperchio su tutta la triste vicenda.
Astutamente, Polanski mantiene il personaggio di Dreyfus (Louis Garrel) in gran parte sullo sfondo della scena e si concentra invece sulla figura del colonnello Picquart, che è interpretato con mascella ferma e sguardo risoluto dal Jean Dujardin di The Artist. Picquart è stato appena promosso a dirigere l'ufficio dell'intelligence militare, ereditando il caos lasciato dal suo predecessore. Egli si rende immediatamente conto che il posto è marcio fino al midollo, schiavo di uomini come il maggiore Henry (Grégory Gadebois), simile a un verme e il mellifluo Bertillon (Mathieu Amalric), un grafologo e frenologo subito pronto a fornire perizie compiacenti.
Il film è inesorabile nell'attraversare stanze piene di fumo dove uomini corpulenti si siedono e parlano. Parlano attraverso i baffi di tricheco e sigari corposi, trovandosi tutti dalla stessa parte. A metà circa, Picquart se ne va per sedersi stancamente in una chiesa. All'inizio era anch'egli convinto della colpevolezza di Dreyfus. Non gli era neanche estraneo il pregiudizio verso gli ebrei.
Con Dreyfus al sicuro dietro le sbarre, l'attenzione di Picquart si rivolge al maggiore Esterhazy, una sospetta spia a Rouen. All'inizio i due casi sembrano del tutto estranei. Poi il colonnello confronta la calligrafia di Esterhazy con quella che credeva fosse quella di Dreyfus, e i pregiudizi cadono dai suoi occhi, tutto gli si rivela. Picquart, come tutti, non è un fan degli ebrei. Ma rifiuta di lasciare un uomo innocente in prigione.
L'arco della storia di Polanski si piega lentamente verso la giustizia. All'età di 86 anni, il regista ha abbandonato da tempo l'aria di giovinezza e malizia danzante che caratterizzava opere come Repulsion e Rosemary’s Baby. Tuttavia, L'ufficiale e la spia (adattato dal romanzo di Robert Harris), dipinge un ritratto sottilmente devastante dello stato maggiore francese, con un odore di zolfo dell'establishment che ricorda Chinatown. Questo film è un pezzo di artigianato cinematografico professionale solido e ben realizzato, come un pesante mobile vittoriano; costruito per durare; costruito per essere utilizzato. Più a lungo lo guardi, più diventa impressionante.
L’ufficiale e la spia
Il Verdetto
"L'ufficiale e la spia" è un film marziale nel suo incedere sicuro sui fatti giudiziari e la ricerca della verità, e della giustizia. Un'opera storica encomiabile che non deve far dimenticare epoche in cui discriminare una razza era perfettamente lecito, e normale.