Notting Hill
Può la più famosa attrice del mondo innamorarsi di un uomo qualunque?
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Recensione
A prima vista, Notting Hill sembra il classico film “british” con tutto il pacchetto al posto giusto: libreria indipendente, tazze di tè, battute imbarazzate, pioggia costante e un protagonista più impacciato che affascinante. Ma scavando sotto la superficie, emerge un ibrido culturale curioso: una commedia romantica che parte dalle coordinate tipiche del cinema inglese ma le mescola con i codici hollywoodiani più patinati, grazie soprattutto alla presenza di una star come Julia Roberts e alla scelta di limare le asperità che avevano reso Quattro matrimoni e un funerale qualcosa di più pungente della media.
La trama – semplice, quasi archetipica – ruota attorno all’incontro tra William Thacker (Hugh Grant), libraio divorziato e senza troppe illusioni, e Anna Scott (Julia Roberts), attrice americana di fama mondiale. Un bacio rubato, qualche imbarazzo e una serie di tentativi maldestri di frequentarsi nonostante le differenze abissali. La storia si muove su binari prevedibili, certo, ma è costruita con una tale cura per il dettaglio e una sensibilità così calibrata sui sentimenti (e sugli stereotipi romantici) da risultare comunque coinvolgente.
Non ci sono sorprese nella struttura narrativa, ma il film riesce comunque a mantenere un buon ritmo, con transizioni ben gestite e una varietà di toni – dalla commedia pura al melò discreto – che lo rendono scorrevole e piacevole fino alla fine.
Se Notting Hill funziona, molto del merito va a Hugh Grant, qui nel pieno della sua fase “Mr. Charming ma impacciato”. William è l’archetipo dell’uomo comune catapultato in una storia fuori dal suo mondo, e Grant lo interpreta con una leggerezza e un tempismo comico impeccabili. È credibile nel suo essere perennemente a disagio, e proprio per questo riesce ad ancorare al reale una trama che per molti versi è pura fantasia.
Julia Roberts, d’altro canto, si concede un gioco meta-cinematografico non da poco, interpretando una star del cinema che, dietro la facciata glamour, cela fragilità e desideri molto più semplici. Sebbene la sua Anna resti un po’ più abbozzata rispetto a William, il confronto tra le due dimensioni – il quotidiano e il mitico – rimane interessante.
Come spesso accade con le sceneggiature di Richard Curtis, il vero tocco di classe sta nel contorno. Il gruppo di amici di William è forse l’elemento più vivo e memorabile del film: dall’iconico coinquilino Spike (Rhys Ifans, in una performance grottesca e irresistibile), alla sorella Honey, eccentrica e iperemotiva, passando per la coppia sposata Bella e Max, ogni personaggio aggiunge umanità, comicità e quel senso di comunità che rende il mondo di Notting Hill credibile e accogliente.
In questo senso, Notting Hill si avvicina più alla comfort zone del pubblico internazionale che a una riflessione cinica sui rapporti, come invece accadeva nel precedente successo Quattro matrimoni e un funerale. L’umorismo è più gentile, meno affilato, quasi privo di quel sarcasmo britannico che graffia senza ferire. Qui, si cerca il sorriso tenero più che la risata amara.
L’ambientazione nel celebre quartiere londinese dà al film un’identità visiva riconoscibile e romantica, ma l’uso di Notting Hill è più da cartolina che da ritratto urbano autentico. I colori pastello, i mercatini, le case vittoriane, tutto contribuisce a costruire una dimensione sognante, più idealizzata che realistica. Non è la Londra dei pub e dei disservizi, ma quella che si sogna da lontano: pulita, gentile, quasi sospesa nel tempo.