Pelle di serpente
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Recensione
Il film Pelle di serpente (The Fugitive Kind), diretto da Sidney Lumet e tratto dall’opera teatrale Orpheus Descending di Tennessee Williams, è un potente dramma gotico che trasporta il mito di Orfeo ed Euridice in un Sud statunitense decadente e spettrale, dominato da ignoranza, violenza, razzismo e misoginia. Questo adattamento, pur restando fedele al materiale di partenza, riesce a distinguersi per l’impatto visivo e per le interpretazioni magistrali, che lo rendono una pietra miliare del cinema drammatico.
Il protagonista Val Xavier (Marlon Brando) è un vagabondo affascinante e solitario che si rifugia in una piccola cittadina del Sud, portando con sé una chitarra, un passato tormentato e un’aura quasi mitica. Val è una figura chiaramente ispirata a Orfeo: un artista e seduttore con la capacità di scalfire le barriere emotive di chi incontra, ma anche un uomo fragile e disilluso. Quando viene assunto da Lady Torrance (Anna Magnani), una donna di origini italiane intrappolata in un matrimonio infelice con un marito malato e crudele, tra i due nasce un legame intenso e tormentato, segnato dal desiderio e dalla disperazione.
La figura di Lady Torrance è il cuore pulsante della storia: una donna forte e vulnerabile, che si aggrappa a Val nella speranza di sfuggire alla sua prigione domestica. Ma in questo mondo soffocante, in cui l’ipocrisia e la violenza sono la norma, il loro rapporto è corrotto sin dall’inizio, destinato a consumarsi in una spirale di dolore e tragedia.
Il mito di Orfeo, nella rilettura di Williams e Lumet, diventa un’allegoria dell’impossibilità di portare luce in un luogo dominato dalle tenebre. Qui, il Sud non è solo un’ambientazione, ma un vero e proprio personaggio, un mondo chiuso in sé stesso, immobile, prigioniero di convenzioni distruttive. In questo contesto, non c’è spazio per la redenzione: l’unica salvezza è la fuga, come dimostra il personaggio di Carol Cutrere (Joanne Woodward), l’unica figura genuinamente libera in un panorama di mediocrità morale.
Marlon Brando offre una performance magnetica nei panni di Val Xavier. Pur con la sua naturale fisicità e sensualità, Brando rende il personaggio malinconico e quasi stanco, un uomo che cerca una pace interiore impossibile da trovare. Anna Magnani, invece, è semplicemente sublime: la sua Lady Torrance è un mosaico di emozioni contraddittorie, un misto di forza e fragilità, di desiderio e disperazione. La chimica tra i due protagonisti è intensa e viscerale, ma la loro relazione è priva di speranza: una storia d’amore contaminata dall’ambiente che li circonda, destinata a crollare sotto il peso delle loro ferite e delle circostanze avverse.
Joanne Woodward brilla nel ruolo di Carol Cutrere, una donna emarginata dalla comunità per il suo spirito libero e per la sua rifiuto delle regole ipocrite. Woodward interpreta Carol come un personaggio inquieto e vulnerabile, ma anche il più autentico e umano del film. È lei che incarna l’unica possibilità di salvezza: la fuga da un mondo senza redenzione.
Victor Jory, nel ruolo del marito di Lady, è la rappresentazione della brutalità maschile che opprime e soffoca ogni possibilità di felicità. La sua presenza, pur non centrale, permea il film di una costante tensione.
La regia di Sidney Lumet è impeccabile nel trasporre la claustrofobia e la decadenza dell’opera teatrale di Williams. Lumet riesce a catturare l’essenza gotica del Sud americano, sfruttando al massimo le ambientazioni anguste e opprimenti, come il negozio di Lady, che diventa una metafora del suo stato di prigionia.
La fotografia di Boris Kaufman è un elemento cruciale del film: le inquadrature saturate di toni scuri e contrastati evocano un senso di soffocamento e disperazione. I volti dei personaggi, spesso ripresi in primissimo piano, sono segnati dal sudore e dalla sofferenza, contribuendo a creare un’atmosfera densa e palpabile. Il risultato è un mondo visivamente opprimente, dove ogni ombra e ogni dettaglio sottolineano il lato oscuro dell’animo umano.
Il Sud di Pelle di serpente è una terra immobile e corrotta, popolata da personaggi che si nascondono dietro una facciata di rispettabilità ma che sono privi di umanità. Razzismo, misoginia e violenza sono radicati in questa comunità, che non lascia spazio per l’amore o la speranza. In questo senso, il film di Lumet amplifica il messaggio di Tennessee Williams: in un luogo così tossico, chiunque cerchi di portare cambiamento è destinato a essere distrutto.
Carol Cutrere, considerata una “balorda” dai suoi concittadini, rappresenta l’unico barlume di umanità in questo universo buio. La sua fuga finale, sebbene ambigua, è un simbolo di resistenza e di speranza, l’unica alternativa possibile a un destino di sofferenza e morte.