Tre senzatetto trovano una neonata abbandonata la vigilia di Natale e partono alla ricerca dei genitori, incontrando lungo la via una sfilza di strani personaggi.
Che perdite dolorose, e premature, sono state quelle di Satoshi Kon e Keiko Nobumoto. Il regista e la sceneggiatrice (suo anche "Cowboy Bepop") sapevano raccontare storie, tratteggiare personaggi...tutte attività che fanno parte del loro mestiere, ma che è ingenuo dare per scontate in qualsiasi opera.
Prendete questo Tokyo Godfathers, per esempio. Qui i due giocano con un romanzo classico (1913) di Peter B. Kyne, che ha avuto molteplici riduzioni cinematografiche (persino un insospettabile John Ford), ma che i due rovesciano come un calzino: via l'atmosfera western, via i fuorilegge, dentro una location che più urbana non si può (la Tokyo d'inizio millennio) e tre protagonisti dalle vite a dir poco disordinate ma dal cuore d'oro.
Tokyo Godfathers è un esemplare classico natalizio moderno: per la prima volta alle prese con un contesto del tutto realistico, Kon alterna momenti sospesi fortemente poetici ad altri adrenalinici degni dei migliori action movie. A livello visivo il film è in totale penombra ed oscurità, un po' come le vite di questi tre senzatetto, segnate da rinunce, ossessioni, sbagli, rimorsi, speranze.
La scena alterna tutte le emozioni, dal grottesco al tragico. La solitudine, la rabbia, la speranza di queste persone sono istanze vere, sentite, ma la sovrastruttura del racconto ha declinazioni favolistiche. In pratica, Tokyo Godfathers è un’allegoria, un canto d’amore e speranza che risuona in un grigio tutto contemporaneo.
Tokyo Godfathers
Il Verdetto
"Tokyo Godfathers" è una meravigliosa favola urbana che riscrive in termini non convenzionali i canoni del film natalizio.