Pochi, forse nessuno, può affermare di essere stato un cantore più puntuale e veritiero su cosa è stato il Giappone Anni Settanta rispetto al Maestro Kazuo Kamimura. Un autore critico sugli usi e i costumi dei propri connazionali, con un riflettore particolare sul ruolo della donna all’interno di una società storicamente patriarcale e maschilista. Ancora adesso, figurarsi negli Anni Settanta!
Ginza, ricco quartiere di Tokyo. E’ il 1971, Yuko ha 25 anni, un divorzio alle spalle e una bambina da mantenere senza il supporto dell’ex marito, un pianista alcolizzato, violento e squattrinato che fatica a trovare lavoro e a cui non è permesso vedere la figlia. La donna gestisce un bar della zona, un club notturno che dà lavoro ad altre giovani donne divorziate come lei, impegnate a intrattenere uomini d’affari e artisti in un clima ambiguo.
“Quando si accendono le luci di Ginza, nascondiamo le lacrime sotto il trucco. Anche oggi il club delle divorziate è aperto”.
Gli effetti della rivoluzione culturale del ’68 sul Giappone crearono un attrito enorme con la tradizione patriarcale e sociale di un paese fondato sul sacrificio delle aspirazioni individuali e in particolare femminili. Le poche che osarono sfidare lo status quo – rifuggendo il matrimonio o chiedendo il divorzio – si trovarono a dover affrontare uno stigma sociale quasi insostenibile, dentro e fuori le mura domestiche e gli ambienti lavorativi.
In “L’età della convivenza” la protagonista Kyoko affrontava i traumi psicologici di questa pressione, e ne pagava le conseguenze anche a livello di salute personale. Yuko ha qualche anno in più (con trucco e costumi tradizionali ne dimostra più di 30), un vissuto più ricco di esperienze e, diciamolo, un carattere più forte. Pur barcollando, non molla mai, anche quando ricchi imprenditori e politicanti si offrono di “proteggerla”, anche quando il locale se la passa male e rischia di chiudere, anche se la figlia non la considera come madre e la madre disprezza il suo mestiere vergognandosi di lei. Lei è sufficientemente disillusa per accettare i compromessi, ed è perfettamente inserita nell’ambiente che frequenta. Non lo rifugge o disprezza, in fondo.
Una Tokyo suadente, affascinante quanto decadente, dove risate, bevute e ammiccamenti nascondono la drammaticità della solitudine
Kamimura ci immerge infatti in una Tokyo suadente, affascinante quanto decadente, dove risate, bevute e ammiccamenti nascondono la drammaticità della solitudine. Lo stile è meno lirico rispetto a Dosei Jidai, calzante per descrivere una fase della vita più adulta e vissuta. I personaggi sono sfaccettati e tridimensionali, anche la protagonista non nasconde colpe e difetti dietro il trucco impeccabile. Una figura che emerge lentamente agli occhi del lettore , seguendo la struttura episodica imposta dall’autore. Le figure maschili sono tendenzialmente meschine, mai disinteressate, con l’eccezione forse del barista Ken, che ama sinceramente Yuko e che in più di un’occasione la mette in difficoltà, perché lei contraccambia l’attrazione ma forse non trova più spazio per lo stesso sentimento. Cinismo e disillusione l’hanno consumata, e lei non riesce a non sentirsi più donna amata, ma solo (eternamente) divorziata.