Green Book
Tratto da un'amicizia vera
Scheda del Film
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Recensione
Esistono degli stilemi narrativi che fisiologicamente favoriscono la genesi di opere di qualità superiore alla media. Nel cinema, una categoria di film che molto spesso porta il successo di critica e pubblico è sicuramente il cosiddetto buddy movie, ovvero un lungometraggio incentrato sul rapporto di amicizia tra i due protagonisti, meglio se con estrazioni e percorsi opposti.
Un buddy movie che si rispetti deve molto all’alchimia tra i protagonisti e alla qualità della loro recitazione. In Green Book, per fortuna, di qualità attoriale ce n’è molta, l’unico dubbio poteva essere quello relativo alla regia di Peter Farrelly, che ci ha abituati ad una carriera di commedie demenziali realizzate in coppia col fratello Bobby.
Green Book è ambientato nella New York del 1962. Tony Vallelonga, detto Tony Lip, è un buttafuori italo-americano con moglie e due figli e un buco lavorativo di due mesi da riempire, perché il locale dove lavora chiude per ristrutturazione. L’occasione buona si presenta nella forma del dottor Donald Shirley, un musicista che sta per partire per un tour di concerti con il suo trio attraverso gli Stati del Sud, dall’Iowa al Mississipi. Peccato che Shirley sia afroamericano, in un’epoca in cui la pelle nera non era benvenuta, soprattutto nel Sud degli Stati Uniti. Il compito di Tony sarà quello di “risolvere i problemi” che Shirley incontrerà nella sua tournée. In questo otto settimane i due uomini si conosceranno, scontreranno, e arricchiranno a vicenda.
Green Book è un film che tratta del razzismo come uno status quo, e che non ha la presunzione di volerlo analizzarle, né tantomeno risolvere.
La figura di Shirley è cruciale per l’evoluzione della storia, è una specie di brutto anatroccolo sociale, così lontano dalla “sua gente”, sia dal punto di vista culturale che musicale, ma al tempo stesso distante dai ricchi bianchi dell’alta borghesia americana davanti a cui si esibisce. E’ raffinato e può permettersi di ingaggiare un autista bianco, ma non può fare a meno della guida per automobilisti neri (il green book, da cui il titolo), quella che gli suggerisce i motel dove può alloggiare, perché accettato.
In questo senso il suo percorso evolutivo è decisamente più complesso di quello del Tony Lip interpretato da un eccelso Viggo Mortensen, imbolsito da venti chili da troppo, involgarito da un fortissimo accento newyorchese, ma in fin dei conti un personaggio che già dopo venti minuti di proiezione ha esaurito la sua aura “negativa”, lasciandosi alle spalle quella spruzzata di razzismo appena accennato nel prologo.
Green Book è un film che tratta del razzismo come uno status quo, e che non ha la presunzione di volerlo analizzarle, né tantomeno risolvere. Mahersala Ali dà il volto a un personaggio di colore diverso dal classico oppresso con pretese rivoluzionarie, che professa di combattere “dall’interno” ma che a volte sembra accontentarsi di una pacifica, ancorché ipocrita, convivenza.
P.S.: il vero Tony Lip è stato per anni uno dei comprimari nella celeberrima serie TV I Soprano, di Matthew Weiner. [rwp_box id=”0″]