1 Giugno 2023

L’età d’oro della LucasArts

L’età d’oro della LucasArts

In un’epoca in cui le software house erano delle entità indipendenti che producevano e pubblicavano i loro titoli, la LucasArts si è distinta per uno stile unico e riconoscibile, facendo la storia del genere dei graphic adventure game.

Pur non essendone stati gli inventori (quel primato spetta a Mystery House della Sierra), pur non avendo sempre avuto dei blockbuster (ancora, la Sierra mediamente vendeva di più), nessuno come la LucasArts ha contribuito a definire cos’è un’avventura punta-e-clicca.

Un po’ di Storia

Da sempre interessato a esplorare altri settori dell’entertainment, sul finire degli anni Settanta George Lucas fondò la Lucasfilm Computer Division, costituita da due team, uno dedicato alla grafica, l’altro ai videogame. Nel 1982 i due gruppi vennero definitivamente separati (con l’intervento economico di Steve Jobs i grafici divennero Pixar nel 1986).

Nei primi tempi la divisione videogiochi era legata a doppio filo con Atari, che contribuì anche economicamente alla nascita dei primi titoli, ovviamente tutti concepiti per le sue piattaforme, ma convertiti anche su altre macchine a 8-bit come Apple II, C64 o Spectrum.

Nel 1986 la LucasFilm Games rilasciò la sua prima avventura grafica (Labyrinth), e per tutta la fine degli Anni Ottanta e primi anni Novanta si dedicò principalmente al genere, a parte qualche titolo minore per console a 8-bit.

Nel 1991 avvenne il cambio di denominazione in LucasArts, e l’azienda iniziò a lavorare anche ad altri generi, simulatori di combattimento in volo, principalmente. Il frutto di questo nuovo filone sbocciò con X-Wing (1993), con il quale la LucasArts sdoganò finalmente il franchise di Star Wars.

Nel prosieguo del decennio il mercato del PC Gaming, influenzato da Doom, si spostò decisamente sugli FPS, e la LucasArts contribuì con Star Wars: Dark Forces (1995) e Jedi Knight: Dark Forces II (1997).

E le avventure grafiche? Continuarono ad essere prodotte, anche se non erano più il core-business. Gli ultimi titoli furono il terzo e il quarto capitolo di Monkey Island (senza più Ron Gilbert al timone) e Grim Fandango (1998). Ma col nuovo millennio il genere fu abbandonato.

Le innovazioni della LucasArts

Le avventure grafiche della LucasArts hanno introdotto svariate innovazioni al genere e, in senso più generale, al mondo dei videogame.

Game Design

Prima dell’avvento della LucasArts il genere delle avventure grafiche era dominato dalla Sierra, con le saghe King’s Quest, Space Quest e Leisure Suit Larry. Pur avendo personaggi ricorrenti e protagonisti, le avventure Sierra erano poco incentrati sul racconto di una storia, finendo per essere una sequela di puzzle abbastanza intricati e difficili.

La LucasArts, pur realizzando giochi con scenari e personaggi assai differenti l’uno dall’altro, ha sempre dato un focus importante alle storie e alla narrazione in-game.

Con l’ascesa della figura di Ron Gilbert, questa declinazione story-adventure è diventata sempre più importante. Il game designer era frustrato con i trend del suo settore, e nel 1989 scrisse un famoso articolo per la rivista aziendale, intitolato Why Adventure Games Suck. Qui vi trovate gran parte del paradigma filosofico dei punta-e-clicca targati Lucas.

Vediamone riassunte alcune idee in questo elenco puntato:

  • L’obiettivo finale deve essere chiaro: sebbene sia accettabile se l’obiettivo cambia a metà partita, all’inizio il giocatore dovrebbe avere una visione chiara di ciò che sta cercando di realizzare. Niente è più frustrante che girovagare chiedendosi cosa dovresti fare e se quello che hai fatto ti porterà da qualche parte.
  • Gli obiettivi secondari devono essere ovvi: la maggior parte dei buoni giochi di avventura è suddivisa in molti sotto-obiettivi. Far conoscere al giocatore almeno il primo obiettivo secondario è essenziale per tenerlo interessato.
  • Vivi e impara: di norma, i giochi di avventura dovrebbero poter essere giocati dall’inizio alla fine senza “morire” o salvare il gioco. È cattivo design inserire enigmi e situazioni in un gioco che richiedono a un giocatore di morire per imparare cosa non fare la prossima volta.
  • Niente puzzle “retroattivi”: situazione che va evitata, e si verifica quando la soluzione viene trovata prima del problema. Idealmente, il crepaccio dovrebbe essere trovato prima della corda che consente al giocatore di scendere. Ciò che fa nella mente del giocatore è creare una sfida. Sa che deve scendere dal crepaccio, ma non c’è percorso. Ora il giocatore ha in mente un compito mentre continua a cercare. Quando viene individuata una corda, una luce si accende nella sua testa e il puzzle è risolto. Per un giocatore, quando il design funziona, non c’è niente come quell’esperienza.
  • Ho dimenticato di prenderlo: la variante “estrema” del punto precedente. Non si può richiedere a un giocatore di raccogliere un oggetto che viene utilizzato più avanti nel gioco se non può tornare indietro e prenderlo quando è necessario. È molto frustrante apprendere che è necessario un oggetto apparentemente insignificante e l’unico modo per ottenerlo è ricominciare da capo o tornare a una partita salvata. Dal punto di vista del giocatore, non c’era motivo di prenderlo in primo luogo. Se la giara d’acqua deve essere utilizzata sull’astronave e può essere trovata solo sul pianeta, createne un uso sul pianeta che ne garantisca la raccolta. Se il tempo tra i due usi è abbastanza lungo, puoi stare quasi certo che il giocatore si sia persino dimenticato di avere l’oggetto. L’altro modo per aggirare questo problema è dare al giocatore suggerimenti su ciò che potrebbe aver bisogno di raccogliere. Se gli alieni sul pianeta suggeriscono al giocatore di trovare l’acqua prima di tornare alla nave e il giocatore ignora questo consiglio, allora il fallimento è colpa sua.
  • I puzzle dovrebbero far avanzare la storia: non c’è niente di più frustrante che risolvere enigmi inutili dopo enigmi inutili. Ogni enigma risolto dovrebbe avvicinare il giocatore alla comprensione della storia e del gioco. Dovrebbe essere in qualche modo chiaro come risolvere questo enigma avvicini il giocatore all’obiettivo immediato. E’ uno spreco di tempo ed energia per il progettista e il giocatore se tutto ciò che fa il puzzle è rallentarne l’avanzamento nel gioco.

SCUMM

Acronimo di Script Creation Utility for Maniac Mansion, venne creato nel 1987 da Ron Gilbert e semplificò enormemente la creazione delle avventure Lucas. Basato su un paradigma verbo-oggetto, consentiva al giocatore di combinare azioni con i vari oggetti del gioco, sia presenti nell’inventario, sia sparsi per gli scenari.

L’uso di un linguaggio di scripting permetteva agli sviluppatori di combinare l’uso di sfondi, definizioni d’ambienti, oggetti e sequenze di dialoghi senza mettere mano a complessi linguaggi di programmazione.

Lo SCUMM venne evoluto nel corso degli anni, e a un certo punto i verbi vennero ridotti e scomparvero dall’interfaccia video per restare attivabili sul puntatore del mouse. Venne definitivamente abbandonato durante lo sviluppo di Grim Fandango, primo gioco che aggiungeva una terza dimensione all’interfaccia (in realtà era un 2.5 D). E’ stato ripreso ed evoluto dalla Humongous Entertainment dello stesso Gilbert, e utilizzato nella realizzazione di titoli come Thimbleweed Park.

iMUSE

Acronimo di Interactive MUsic Streaming Engine, venne sviluppato dai compositori Michael Land e Peter McConnell  e integrato nella quinta versione dello SCUMM, nel 1991. Lo scopo principale dell’iMUSE è di sincronizzare la musica con l’azione sullo schermo in un videogioco, così che l’audio corrisponda continuamente agli eventi rappresentati ed in modo tale che le transizioni da un tema musicale ad un altro siano fatte senza brusche interruzioni.

A differenza dello SCUMM, iMUSE venne integrato anche in videogiochi di genere diverso dall’avventura grafica, come i simulatori spaziali del franchise X-Wing.

Le persone chiave della LucasArts

Ron Gilbert

Per molti il suo nome è sinonimo di “avventure grafiche Lucas”, e fino al 1991 è stato un po’ così. D’altronde Gilbert ha contribuito alla nascita dello SCUMM e ha definito le caratteristiche di un’avventura punta-e-clicca Lucas, dando vita alla saga di Monkey Island. Spirito libero e poco incline ai compromessi, ha preferito lasciare l’azienda al picco di popolarità, dando vita a progetti indipendenti. Lo trovate sul suo blog Grumpy Gamer.

Dave Grossman

La “spalla” ideale in tutti i maggiori successi Lucas, è stato project leader solo in Day of The Tentacle, un successone.

Noah Falstein

Più “anziano” rispetto ai suoi colleghi, ha iniziato a lavorare nell’industria già nei primi anni Ottanta. In casa Lucas ha messo la firma sui due titoli “gioiello” di Indiana Jones.

Tim Schafer

Da molto tempo in azienda, è diventato un po’ il “successore” di Gilbert dopo la sua uscita nel 1992. E’ stato project leader di Day of the Tentacle, Full Throttle e Grim Fandango.

Le Avventure grafiche

Vediamo nel dettaglio i titoli che hanno segnato l’epoca d’oro della Lucas.

Labyrinth (1986)

Designer: David Fox

Sviluppatore: Noah Falstein

Pur essendo proprietaria di due delle più importanti proprietà intellettuali del mondo dell’entertainment (Star Wars e Indiana Jones), la prima graphic adventure della Lucas venne realizzata sulla base di un altro film Lucas, l’omonimo Labyrinth interpretato da David Bowie.

Labyrinth è un mondo a parte rispetto a tutto il resto della produzione Lucas: anche come genere è piuttosto ibrido, visto che mixa parti di avventura testuale e altre tipicamente arcade.

Maniac Mansion (1987)

Designer: Ron Gilbert, Gary Winnick

Maniac Mansion è stato il primo enorme spartiacque della produzione Lucas e del genere graphic adventure. Ha lanciato l’interfaccia SCUMM (con ben 15 verbi!), la carriera di un giovanissimo Ron Gilbert, la possibilità di controllare più di un personaggio e un certo mood ironico che avrebbe caratterizzato le avventure Lucas negli anni a venire. Era un gioco molto difficile, va detto, e che ancora prevedeva punti di stallo e morti improvvise.

Zak McKracken and the Alien Mindbenders (1988)

Designer: David Fox, Matthew Alan Kane

Molto simile a Maniac Mansion come interfaccia e grafica, voleva essere inteso come un titolo più avventuroso, ma Gilbert convinse Fox a renderlo più strampalato e comico, con chiari riferimenti ed easter eggs. Il risultato fu più o meno riuscito, la critica principale a Zak McKracken era il numero piuttosto limitato di scenari. Era un gioco “piccolo” e il confronto con il predecessore lo oscurò.

Indiana Jones and the Last Crusade (1989)

Designer: Ron Gilbert, David Fox, Noah Falstein

Rilasciato in contemporanea con l’omonimo film, è la prima dimostrazione di come il franchise di Indiana Jones calzasse perfettamente con lo stile delle avventure Lucas, pur essendo meno dotato di quell’umorismo strampalato gilbertiano. Indy 3 introdusse la notevole novità di poter essere giocato e terminato in modi differenti, caratteristica che superava uno dei limiti storici degli adventure game, ovvero quello di dare poche motivazioni per rigiocarli.

Loom (1990)

Designer: Brian Moriarty

Serioso e clamorosamente sperimentale, Loom è uno di quei titoli “a parte” nel canone Lucas, innanzitutto perché mise in stand-by il paradigma verbo-oggetto di SCUMM, pur utilizzandone lo scripting. Ambientato in un mondo fantasy e giocabile in tre distinti livelli di difficoltà, ogni azione del personaggio era definita da un sonetto di quattro note che, a seconda della combinazione, provocava effetti differenti. Veramente, veramente di nicchia (anche come vendite, ahimè).

The Secret of Monkey Island (1990)

Designer: Ron Gilbert, Dave Grossman, Tim Schafer

E’ stato il primo capitolo della saga più famosa e longeva prodotta dalla LucasArts, che a differenza della Sierra non amava particolarmente le saghe. Fu il primo titolo a implementare in pieno le idee sviluppate da Gilbert nel suo articolo seminale, quindi morti quasi impossibili e tanta, tanta esplorazione a fini narrativi, facilitata da uno SCUMM più agile (“solo” dodici verbi) e da un sistema di dialoghi più flessibile. Si saltava da un’isola all’altra, si conoscevano tanti personaggi e ci si affezionava al carismatico e simpatico protagonista Guybrush Threpwood.

Monkey Island 2: Le Chuck’s Revenge (1991)

Designer: Ron Gilbert, Dave Grossman, Tim Schafer

Nella mente di Gilbert la saga di Monkey Island era una trilogia (sappiamo che lo è diventata, di fatto, solo nel 2022…), e Le Chuck’s Revenge fu un ottimo secondo capitolo che riprendeva tutti i pregi del predecessore, potenziando il comparto grafico e soprattutto sonoro (ci fu l’esordio di iMUSE). L’interfaccia SCUMM venne ulteriormente semplificata (si passò a nove verbi) e venne introdotta anche una modalità di gioco “lite” per chi non voleva sbattersi troppo sugli enigmi. Per chi conosce già la storia,ritengo che il finale di Le Chuck’s Revenge sia il “vero” finale della saga.

Indiana Jones and the Fate of Atlantis (1992)

Designer: Hal Barwood, Noah Falstein

L’avventura grafica definitiva? Per il sottoscritto sì. Nato da una sceneggiatura originale (per molti il “vero” quarto episodio della saga), Indy 4 è stato probabilmente il picco creativo e realizzativo delle avventure Lucas. Un gioco vastissimo ed entusiasmante come pochi, sulle stesse orme del predecessore garantiva diverse modalità di gioco: azione, enigmi e gioco in coppia, nel quale Indiana Jones collaborava con la medium Sophia Hapgood.

Day of the Tentacle (1993)

Designer: Dave Grossman, Tim Schafer

Seguito di Maniac Mansion, si fa ricordare principalmente per lo stile grafico cartoon (anche nell’interfaccia SCUMM, ridisegnata per l’occasione) e per la possibilità di controllare tre personaggi dislocati nello stesso luogo (la Maniac Mansion, appunto) in tre distinte ere temporali: la Rivoluzione americana, il presente e il futuro. Estremamente amato, per il sottoscritto è un gioco meraviglioso “limitato” dall’essere un po’ troppo facile e breve per gli standard Lucas.

Sam & Max Hit the Road (1993)

Designer: Sean Clark, Mike Stemmle

A differenza del coevo Day of the Tentacle, Sam & Max era un gioco piuttosto ostico, sebbene anch’esso non lunghissimo. Questa storia sgangherata di un cane antropomorfo e un coniglio “mannaro” è stata tratta da un fumetto di Steve Purcell, storico “braccio grafico” della Lucas. Il gioco si segnalò per essere il primo a rimuovere del tutto (e definitivamente) i famosi verbi dello SCUMM, liberando la metà schermo inferiore per far posto allo scenario. Negli Anni Zero la Telltale ha acquistato i diritti della licenza, producendo una serie di avventure su Sam & Max.

Full Throttle (1995)

Designer: Tim Schafer, Dave Grossman

Dopo tanti personaggi nerd, simpatici e sgangherati, alla Lucas decisero di affidare un titolo ad un protagonista veramente “badass”. Full Throttle si distinse soprattutto per l’incredibile comparto grafico e sonoro, anni luce avanti all’anno di uscita. L’avventura in sé non era esente da difetti, ma dopo questa sigla di apertura, chi ci avrebbe fatto ancora caso?

The Dig (1995)

Designer: Sean Clark, Brian Moriarty

The Dig aveva tutte le stigmate del classico progetto ambiziosissimo dallo sviluppo infinito, che alla fine non esce più. Nato da un soggetto di Steven Spielberg (ebbene sì, proprio lui), vide avvicendarsi svariati team e project leader nel corso di sei anni, e venne infine rilasciato dopo Full Throttle, con un comparto grafico non proprio all’altezza del mercato del 1995. The Dig era difficile, e molto più simile ad un gioco come Myst che a un’avventura punta-e-clicca Lucas. Ma d’altronde il genere stava vivendo un inizio di crisi sotto i colpi dell’evoluzione del gaming. Da lì a qualche anno, anche la LucasArts avrebbe mollato le graphic adventure.

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