Con l'aiuto del suo ragazzo di consegna, Dilili, un giovane Kanak, indaga su una serie di misteriosi rapimenti di ragazze che affliggono Belle Epoque Paris. Nel corso della sua indagine incontra una serie di personaggi straordinari, ognuno dei quali le fornisce indizi che la aiuteranno nella sua ricerca.
Lo stile d'animazione di Michel Ocelot è facilmente riconoscibile, e caratterizza appieno questo film al pari della serie dedicata a Kirikù. E' un mix tra l'estremo fotorealismo degli scenari e la caratterizzazione minimale (e colorata) dei personaggi, che spesso può non piacere (e Oltreoceano non piace, ma lì hanno un rapporto diverso con l'animazione), e che mostra qualche limite nella gestione del movimento rotatorio degli oggetti, dove il 3D diviene palese e un po' goffo. In Dililì lo potete notare quando la "tricicletta" fa le curve.
Con il regista francese non si scende a compromessi solo nello stile visivo; anche la sceneggiatura soffre dell'ingenuità tipiche di chi si è prefissato un duplice impegno: raccontare la belle epoque parigina, l'epoca d'oro dei tempi dell'Esposizione Universale, e scrivere una storia "femminista". Se il primo intento viene raggiunto brillantemente, sul secondo il tema della sottomissione femminile appare un po' incastrata a forza tra i vicoletti parigini.
Dilili a Parigi
Il Verdetto
"Dilili a Parigi" è un bell'esempio di moderna animazione europea, che confeziona un messaggio importante all'interno di una cornice di piacevole intrattenimento.