Gruppo di famiglia in un interno
Scheda del Film
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Recensione
Nel 1973 la vita e la carriera di Luchino Visconti subirono un colpo quasi letale nella forma di un ictus che paralizzò il regista lungo tutto il lato sinistro del corpo. Visconti non sarebbe stato più lo stesso, nonostante riuscì comunque a girare altri due pellicole prima del decesso avvenuto nel 1976.
Mi piace pensare che Gruppo di famiglia in un interno, il primo di questi due film, sia quello più aderente ad una sorta di testamento intellettuale del regista. Scritto assieme agli inseparabili Suso Cecchi D’Amico ed Enrico Medioli, come suggerisce il titolo è un’opera totalmente girata indoor, in un (imprecisato) antico palazzo della nobiltà romana.
La figura del professore interpretato da Burt Lancaster, seppur ispirata al noto anglista Mario Praz, è chiaramente ritagliata su Visconti stesso. Il protagonista vive alla ricerca del tempo perduto, isolato da un mondo che non comprende, e manifesta quindi un’incapacità di adeguarsi alla modernità. Il professore, intellettuale di sinistra come Visconti, è una figura di osservatore terzo sia rispetto alla gioventù post-sessantottina, sia rispetto ad un’alta (e decadente) borghesia involgarita dal capitalismo. Il climax di tutto, e lo scontro delle classi (seppur agiate), avviene nella scena della cena a casa del professore.
Probabilmente fin troppo “teorico” nella sua critica sociale da salotto, il film è comunque godibile come studio di caratteri condotto da un Maestro del cinema. Gli scambi dialogati e le interpretazioni sono tutte di alto livello, peccato per il doppiaggio italiano che appiattisce un po’ tutto. L’evidente sottotesto di tensione sessuale tra il professore e il Konrad di Helmut Berger è anch’esso autobiografico, dato che Visconti aveva avuto una lunga relazione con l’attore-modello austriaco.