Mr. Klein
Scheda del Film
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Recensione
Mr. Klein (1976), diretto da Joseph Losey e scritto da Franco Solinas, è un thriller psicologico e politico che si muove tra il noir e la riflessione storica. Il film esplora la Francia occupata dai nazisti con una prospettiva unica: la perdita di identità e il senso di colpa di un uomo che si trova invischiato in un incubo burocratico degno di Kafka. La sceneggiatura di Solinas costruisce una narrazione densa di ambiguità e inquietudine, evocando anche i dilemmi morali di Dostoevskij, in particolare da Delitto e castigo (l’espiazione) e Il sosia (il tema del doppio e la ricerca dell’identità). Al centro di tutto, un’interpretazione straordinaria di Alain Delon, che incarna con maestria un protagonista in bilico tra indifferenza e tormento.
Parigi, 1942. Robert Klein (Alain Delon) è un ricco mercante d’arte che approfitta delle leggi antisemite per acquistare a prezzi stracciati le opere di ebrei costretti a svendere i propri beni. Vive in un mondo di privilegi, apparentemente immune al dramma storico che lo circonda. Tuttavia, la sua esistenza viene sconvolta quando riceve per errore un giornale destinato a un altro “Robert Klein”, un ebreo perseguitato dalle autorità.
Nel tentativo di dimostrare la propria innocenza e di smentire ogni possibile associazione con quest’omonimo sconosciuto, Klein si imbarca in un viaggio tortuoso e surreale, tra labirinti burocratici, incontri enigmatici e una ricerca sempre più ossessiva della verità. Ma più si addentra nel mistero, più la sua posizione si complica, fino a portarlo in una spirale di paranoia e autodistruzione.
La sceneggiatura di Franco Solinas è il vero motore del film. L’autore, noto per il suo impegno politico (La battaglia di Algeri, Queimada), costruisce qui una storia che mescola il thriller esistenziale con il dramma storico, evitando ogni retorica e focalizzandosi invece su un percorso personale di trasformazione e smarrimento.
Il film è profondamente kafkiano: la vicenda di Klein richiama Il processo, con il protagonista che si trova invischiato in un’accusa indefinita, impossibile da smentire, e che lo spinge a un’indagine sempre più ossessiva su se stesso e sul proprio doppio. L’idea di un “sosia” invisibile, di un’identità rubata o duplicata, riecheggia anche Il sosia di Dostoevskij, mentre la lenta discesa in una spirale di colpa e autodistruzione ricorda Delitto e castigo.
Solinas introduce la tematica dell’identità non solo in senso personale, ma anche politico: Klein è un uomo che vive nel privilegio e nell’indifferenza, ma la sua disavventura lo costringe a confrontarsi con il destino di chi è perseguitato. Il tutto ha un sottotesto filosofico e politico: il destino di Klein rappresenta quello di un uomo che ha negato la realtà dell’oppressione finché non ne è stato inghiottito. La sua ricerca non è solo una lotta per la sopravvivenza, ma diventa un percorso di (involontaria) espiazione, come se il destino lo trascinasse in un’inevitabile resa dei conti con la Storia.
Losey, regista esule da Hollywood e autore di capolavori come Il servo e L’incidente, imprime al film un’atmosfera di inquietudine crescente. La sua regia trasforma Parigi in un luogo opprimente, fatto di corridoi angusti, ombre inquietanti e spazi labirintici che sembrano riflettere la psiche sempre più frammentata del protagonista.
Il film evita il melodramma e adotta uno stile rigoroso, quasi asettico, che amplifica il senso di straniamento. I movimenti di macchina lenti, le inquadrature studiate e il montaggio controllato creano un senso di minaccia costante, dove la realtà sembra deformarsi in una trappola senza via d’uscita.
Alain Delon offre una delle sue prove più intense e complesse. Conosciuto per il suo fascino glaciale e il carisma da anti-eroe, qui abbandona ogni traccia di sicurezza per calarsi in un ruolo ambiguo e sfuggente. Il suo Klein è inizialmente cinico e opportunista, ma via via che la sua posizione si complica, il suo volto si trasforma: dallo sguardo impassibile passa a uno stato di crescente ansia e paranoia.
Delon gioca con le sfumature del personaggio senza mai renderlo apertamente simpatico, mantenendo sempre un alone di mistero e ambiguità. Il suo viaggio non è solo quello di un uomo braccato, ma anche di qualcuno che forse, in fondo, accetta il proprio destino come una forma di espiazione inevitabile.