Sinossi: Un resoconto di prima mano del pestaggio della polizia metropolitana di Tokyo a seguito di Jake Adelstein, un giornalista americano che si infiltra nella squadra di polizia di Tokyo Vice per rivelare la corruzione. Basato sull’omonimo libro di saggistica di Jake Adelstein.
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Recensione
Il background dello spettatore può influire molto nella valutazione di una serie come Tokyo Vice. Chi, come il sottoscritto, è letteralmente imbevuto di storie (manga, anime, libri o videogame) relative al mondo della Yakuza potrebbe non restare molto sorpreso dalla caratterizzazione degli intrecci e dei personaggi.
J.T. Rogers ha fatto in realtà un ottimo lavoro nello sceneggiare il libro d’inchiesta del giornalista Jake Adelstein, e questa frenetica, lussureggiante, colorata Tokyo degli Anni Novanta assomiglia dannatamente a una qualsiasi vignetta di Sanctuary di Ikegami/Fumimura. Il problema è che l’aderenza estetica è un conto, rimarcare ogni cliché sulla malavita nipponica è un altro. Vedere uno yakuza tagliarsi un dito per punirsi di un errore commesso non è più scioccante come poteva esserlo trent’anni fa.
L’unico appiglio a cui Rogers poteva aggrapparsi per evitare il “già visto/già sentito”, da questo punto di vista, era rimarcare lo scontro culturale tra il personaggio di Jake (Ansel Elgort) e l’intera società nipponica. Questo si vede nelle prime puntate (esemplare il numero di volte che è costretto a riscrivere il suo articolo per ottenere la pubblicazione), ma scema abbastanza rapidamente.
Probabilmente l’ambizione di Rogers era quella di realizzare una specie di The Wire sulla Yakuza, quindi una serie con tanti personaggi incentrata sui vari anelli della filiera malavitosa giapponese. Al momento, pur apprezzando la qualità di fotografia e recitazione, l’ambizione sembra parzialmente inespressa.
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