Air – La storia del grande salto
Alcune icone sono nate per volare
Scheda del Film
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Recensione
Malgrado i nomi coinvolti, Air è nella sua essenza un film “di nicchia”, perché racconta una storia di successo, ma pur sempre una storia “minore” nel grande panorama della cultura pop. Stabilisco pertanto gli ordini di grandezza: raccontare la carriera di Michael Jordan è mainstream, raccontare il suo accordo commerciale con la Nike e la nascita del brand Air dovrebbe essere la classica storia che interessa i non meglio precisati “addetti ai lavori”. Solo che, negli ultimi tempi, molte sceneggiature per film (e serie TV) si sono concentrate su queste storie “minuscole”, quindi gli addetti ai lavori si sono trasformati nel pubblico generalista (per alcuni come Nanni Cobretti questo è un fenomeno poco apprezzabile). E questo tipo di pubblico, ne sono convinto, apprezzerà Air.
Poi ci sono quelli come me, che provano a trovare dei significati stratificati all’interno di una pellicola. Quelli che non si accontentano di vedere i due vecchi amici Ben Affleck e Matt Damon gigioneggiare in scena. Quelli che vogliono rispondere alla domanda delle domande: “Air è buon cinema?”
Il film ha ricevuto una maggioranza di reazioni positive anche dalla critica, ma qualche voce dissonante si è sollevata. Le principali critiche chiamano in causa l’ode al Capitalismo e l’eccesso di ricorso alla nostalgia. I più negativi sono quelli che ribadiscono come “la storia di una scarpa” non meriti un lungometraggio. Io non la penso così: gli effetti dell’accordo Nike-Jordan lo rendono una pietra miliare nel marketing sportivo, e il fatto che un ex-cestista sessantenne abbia ancora la sua scarpa (ogni anno nuova) che genera fenomeni di collezionismo a svariati zeri è lì a dimostrarlo.
Il problema è che Air non è buon cinema. Incredibilmente, pur avendo tutte le caratteristiche di due ore di native advertising, non è un film prodotto dalla Nike, ma è certo che la sceneggiatura sia stata letta e revisionata dalle parti in causa. Da quel che è trapelato, ad esempio, Jordan è intervenuto “suggerendo” Viola Davis (ottima) come attrice per interpretare sua madre, ma credo ci siano state numerose “correzioni” allo script originale. Io non voglio credere, infatti, che quella che era stata inserita nella classifica delle migliori sceneggiature nel cassetto abbia prodotto un film così poco attento alle sfumature.
Certo, l’esordiente autore Alex Convery non è Aaron Sorkin (che avrei visto benissimo a scrivere questa storia), ma in certi passaggi Air è veramente grossolano. A cominciare dall’inizio, quando vuole precipitarci nel 1984 mostrandoci un didascalico collage di alcuni dei fenomeni più rilevanti della cultura pop di quell’anno. C’è poi un passaggio che mi ha fatto suonare un campanello d’allarme: quando Robby Strasser (Jason Bateman) racconta a Sonny Vaccaro (Matt Damon) di come Born in the USA di Bruce Springsteen fosse una canzone che lo gasasse, prima di aver letto con attenzione le parole. Il punto-chiave è che la lettura del testo (una critica al militarismo coloniale e più in generale al sogno americano) non suscita una riflessione in Strasser: semplicemente non gli mette più buon umore.
Air è così: resta in superficie, evita possibili controversie, fomenta il mito con un (assurdo) discorso motivazionale di Damon alla riunione decisiva per l’accordo, racconta l’ossessione di Vaccaro senza farcela capire. E’ un film grossolano e fragile, talmente debole che Affleck si è ben guardato dal far comparire il personaggio di Jordan, se non in un montaggio di highlights di repertorio. La figura è presente, ma sempre di spalle o in penombra, sostanzialmente non ha battute. Non era lui il focus della storia, così si è giustificato il regista. Anche volendogli credere, perché gestirlo in una maniera così goffa?