Heat – La sfida
Quando il cinema diventa leggenda.
Scheda del Film
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Recensione
All’interno della produzione testosteronica di Michael Mann, Heat occupa sicuramente un posto di rilievo. Il motivo è presto detto: avere per la prima volta Al Pacino e Robert De Niro a dividere la scena, e non solo i credits come nel caso de Il Padrino parte II, fu un grande volano per la promozione del film. Ma Heat è molto più che Pacino e De Niro: il cast è fortissimo in ogni suo ruolo ed interprete (memorabile un mito come Jon Voight incasellato alla stregua di un caratterista), e l’intenzione di creare qualcosa di più corale è intercettabili dalle origini del progetto.
Heat nasce infatti come l’idea di un prodotto seriale, trasportato poi in un film televisivo intitolato Sei solo, agente Vincent, uscito nel 1989. L’idea centrale è la stessa, ma mancano diversi dettagli e spunti al contorno che porteranno questo classico confronto criminale-sbirro ad essere qualcosa di più di un semplice film d’azione, con una penetrazione psicologica nel rapporto simbiotico tra polizia e fuorilegge. Il minutaggio insolitamente lungo per l’epoca (quasi tre ore!) nasconde una stratificazione di scene e di storyline secondarie che solo superficialmente possono sembrare inutili e degne di “asciugatura”, ma che con dialoghi complessi dove i personaggi dicono veramente ciò che pensano, hanno un merito notevole: delineare caratteri.
Alla resa dei conti, aldilà del battage promozionale, De Niro e Pacino interagiscono veramente poco, hanno due scene-clou sole per loro, la diner scene e il finale. Sono le due facce della stessa medaglia, due uomini ossessionati dal loro lavoro sull’altare del quale sacrificano tutta (o quasi) la vita privata. Per il resto Mann resta bravissimo nel suo, ovvero mostrare uomini risoluti ed estremamente bravi in quel che fanno, e desiderosi (ma non troppo) di sopraffarsi l’un l’altro. La fotografia è meno patinata del solito, donando un senso di realtà a scene che di realistico hanno ben poco. Molti appassionati del genere action ancora ricordano con fervore la famosa scena della sparatoria in strada, che molta ispirazione ha dato al genere e alle sue diverse declinazioni (cinema, serie TV ed anche videogame).
Il punto dove inevitabilmente Heat dimostra di essere “invecchiato” è nei personaggi femminili: merce di scambio o di ricatto, accessori affettivi dei loro uomini: vale più o meno per tutte e tre (i personaggi interpretati da Diane Venora, Amy Brenneman e Ashley Judd). Ma erano gli Anni Novanta, baby, e Heat resta un mirabile affresco sull’incomunicabilità emozionale, struggente, ammantato da un romanticismo utopico, sorretto da una narrazione superba che accumula personaggi e sottotrame ma riesce a gestire il tutto con mirabile coerenza.