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Recensione
Non tutti gli esordi alla regia sono uguali, soprattutto se ti chiami Aaron Sorkin, sceneggiatore di culto dalle parti di Hollywood, con alle spalle una carriera costellata di successi di pubblico e critica, la maggior parte ottenuti scrivendo film biografici su personaggi forti e speciali (Steve Jobs e Mark Zuckerberg, tra gli altri).
Non tutti gli esordi alla regia sono uguali, quindi, se sei un artista adorato e se scegli di rimanere nella tua comfort zone: un film biografico su un personaggio molto discusso, al centro di casi mediatici e giudiziari come Molly Bloom. Lo spunto è il memoir della stessa Bloom, sceneggiato (ovviamente) da Sorkin.
Nel 2004, la giovane Molly (Jessica Chastain), ex sciatrice olimpionica del Colorado sbarca a Los Angeles in cerca di avventure prima di iniziare gli studi. Per guadagnarsi da vivere comincia a lavorare come semplice assistente di un organizzatore di partite clandestine di poker ma poi, licenziata senza giusta causa, decide di creare la sua società: il buy-in sarà di 250.000 dollari.
Quel che salta subito all'attenzione, di Molly's Game, è quanto sia un film logorroico. Dialoghi serratissimi e una voce over narrante che mantiene la coerenza con il memoir e sciorina numeri, dati e molta ruffianeria. L'abilità al montaggio, che crea una specie di eterna introduzione durante almeno metà film che mantiene altissimo il ritmo, svia l'attenzione dal fatto che, contrariamente alle intenzioni, il film sia blando e confuso.
Pur essendo una pellicola incentrata su investigazioni e casi giudiziari, non viene mai spiegato con chiarezza qual è il confine dell'illegalità, non si assiste a vita da tribunale, ad esclusione della sentenza, è tutto sfumato a favore del rapporto tra l'imputata ed il suo avvocato (Idris Elba), che ha deciso di credere alla sua innocenza dietro consiglio della figlia.
Molly's Game è un film tanto logorroico nella scrittura quanto superficiale nella cura dei dettagli narrativi
La superficialità attraversa trasversalmente il film, nella trama come nei personaggi. Prendete il personaggio di Molly, per esempio: nelle due ore e venti minuti di durata (troppa!) non cambia di una virgola, non evolve, è sempre quella che desiderava eccellere in tutto, dallo sport ad attività meno nobili. La sua rocambolesca vicenda è tutta esteriore, fatta di imprevisti e di fortune, cui non fa tuttavia seguito un'evoluzione intima. La voglia di ridurre l'intera analisi psicologica ad un complesso edipico non le fa giustizia (non la rende neanche alla carriera da decenni declinante di Kevin Costner, quasi imbarazzante nel pianto liberatorio del confronto finale). L'impressione è che sia il personaggio "reale" ad essere bidimensionale, assai meno speciale o interessante di quanto Sorkin ritenga. Non esce mai dalla sala da gioco, non ha una sua vita privata e non emerge nulla che possa rendercela più vicina: lei è distante, pensa solo al potere maschile e a come controllarlo.
Aaron Sorkin è infatuato da Molly Bloom, lo si capisce da come la "protegge", da come la escluda da ogni accezione critica che invece non aveva mai risparmiato ai protagonisti degli altri film. Sembra affannarsi a convincere lo spettatore della sua innocenza, sebbene tanto innocente non sia. Fallisce infine nel suo compito primario, farla piacere allo spettatore. Più algida che sensuale nella "versione cinemax di se stessa", Jessica Chastain arriva forse al culmine della sua carriera fatta di personaggi femminili forti, ritrovandosene uno assai svuotato.
Il Verdetto
Molly's Game è un film tanto logorroico nella scrittura quanto superficiale nella cura dei dettagli narrativi. Aaron Sorkin esordisce alla regia con una protagonista femminile forte poco riuscita.
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