4 Marzo 2019

Essere Dylan di Beverly Hills

Essere Dylan di Beverly Hills

Beverly Hills 90210 è stato uno dei più iconici fenomeni mainstream per adolescenti, l’ultimo a guadagnarsi la prima serata di Italia 1 con risultati clamorosi (punte di 6 milioni di spettatori e 20% di share!). Scritto da Darren Star e prodotto dal leggendario magnate televisivo Aaron Spelling, lo show ha di fatto inventato il genere del teen drama, ovvero la declinazione young adult di titoli come Dynasty (non a caso dello stesso Spelling).

Dylan aveva il look e l’aura da versione anni ’90 di James Dean. Bello, tenebroso e dannato. Ma non troppo.

Beverly Hills alternava col bilancino i temi tipici della commedia scolastica con virate più adulto-paternalistiche su argomenti “scottanti” quali sesso, droga e affini. L’aspirazione di Star e soci era di annacquare con i “giusti” insegnamenti uno spettacolo che bramava a costruire alta fedeltà con i suoi telespettatori più giovani. Ragazzini e ragazzine avevano i loro miti da idolatrare, e i genitori erano tranquilli che non stessero vedendo qualcosa di particolarmente scabroso.

https://www.youtube.com/watch?v=AtpyUvjWcG8

In questo senso il personaggio di Dylan McKay, interpretato da Luke Perry, era quello più border-line, all’interno del cast fisso, non solo per l’evidente discrepanza anagrafica con l’attore. Mentre Brandon Walsh appariva come il classico bravo ragazzo che tutte le mamme vorrebbero sposasse le loro figlie, Dylan aveva il look e l’aura da versione anni ’90 di James Dean. Bello, tenebroso e dannato. Ma non troppo. Dylan era comunque ricco, non potevi non esserlo se abitavi a Beverly Hills (tranne Andrea, lei mentiva sul codice postale), aveva una famiglia disfunzionale da manuale e l’aria ribelle di chi in fondo te lo fa pesare non appena accenni a contestare il suo stile di vita. Nella declinazione paternalistico-annacquata di cui sopra, i signori Walsh non erano poi così contenti che Dylan uscisse con Brenda, ma le loro barricate non erano oltranziste.

Il successo di Beverly Hills è stato clamoroso, e in Italia ha trovato uno dei suoi terreni più fertili, con vittorie multiple di Telegatti e affini. L’immagine di Luke Perry, a metà anni Novanta, era dappertutto, lo ritrovavi su magliette, zaini, quaderni. L’amore del BelPaese per questo attore trovò la sua consacrazione più funzionale nella partecipazione ad uno dei cinepanettoni di Boldi-De Sica.

La sfortuna di Perry, o forse la più giusta dimensione per le sue capacità recitative, è stata quella di vivere in un’epoca in cui un attore di serial era ancora un interprete di serie B. Passata la gioventù, e quella decade che aveva contribuito a definire, è rimasto ingabbiato e legato per sempre al personaggio di Dylan, non potendo mai aspirare a qualcosa di più di ruoli televisivi non memorabili. E oggi se n’è andato via per sempre, prematuramente, come James Dean. Giovane, ma non troppo.

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Commenti 1

  1. Private Eyes | Serie TV | Recensione di Enrico Giammarco

    […] hollywoodiano. Mi sembrava quello più pronto, con più attrezzi nella borsa del mestiere, più del compianto Luke Perry. Arrivato ai 50 anni, possiamo dire che il grande salto non c’è stato, anzi. […]

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