Sinossi: Una potente Cancelliera di un fittizio Paese dell’Europa centrale si trova a fronteggiare un dissenso interno sempre più forte.
Dove vedere “The Regime – Il palazzo del potere” in streaming
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Recensione
Samuel Johnson una volta definì la satira come “una poesia in cui la malvagità o la follia vengono censurate”. Dio solo sa che in questo momento nel mondo c’è abbastanza malvagità o follia da meritare qualche censura, ma The Regime, la nuova miniserie in sei parti di HBO e Sky, non è all’altezza del momento.
È guardabile, nel senso che puoi vederlo e ti passerà davanti agli occhi senza troppi patemi. È realizzato magnificamente, con il classico budget da prestige drama HBO e riprese in grandi location in veri palazzi austriaci per evocare un’immaginaria autocrazia dell’Europa centrale. Ed è ben recitato, con alcune performance notevoli da parte di un cast di prim’ordine che quasi lo rendono accettabile.
Ma come ritratto di una politica disfunzionale, The Regime è esso stesso in qualche modo disfunzionale. È la creazione di Will Tracy, con un passato nella stanza degli sceneggiatori di Succession, ed è lì che sembra puntare, con alcuni spunti di Veep, con lampi de Il dottor Stranamore (un pezzo della scenografia è evidentemente kubrickiano).
Eppure, anche se lo show mostra le sue influenze, sembra aver capito poco della loro arguzia. Questa è una commedia che ha dimenticato di includere le battute, una polemica senza molti punti di vista. Il tono viene impostato immediatamente con una sciocca colonna sonora di Alexandre Desplat – un genio quando collabora con Wes Anderson, ma qui mal abusato – che crea un’atmosfera comica che non è soddisfatta dalla scrittura. La commedia o non arriva, o non esiste.
Anche la critica sociale sembra attenuata e ovvia: il paese senza nome in cui è ambientato è un miscuglio piuttosto distratto della Russia di Putin, dell’Ungheria di Orbán e di ciò che l’America immagina siano gli stati post-sovietici, anche se popolati con accenti inglesi, irlandesi e belgi. Si parla della decadenza dell’America e di chiacchiere cospiratorie su un ordine globale, che evocano l’attuale tendenza geopolitica per il populismo di estrema destra – ma niente di penetrante, nessuna immaginazione drammatica per trasformarlo in qualcosa di avvincente.
Come già detto, quello che la salvano (a malapena) sono le interpretazioni. Kate Winslet, come ci si aspetterebbe, è eccellente. Anche Matthias Schoenaerts è apprezzabile, nel ruolo dell’intenso caporale Herbert Zubak, un soldato che scala gradualmente le gerarchie. Ma le grandi performance – anche un gradito, seppur breve, cameo di Hugh Grant – non sono sufficienti. Questa è poesia satirica priva di poesia.