High Flying Bird
Scheda del Film
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Recensione
A differenza di uno sciopero, in un lockout sono i datori di lavoro a interrompere le attività, solitamente per il decadere dei termini o delle condizioni dei precedenti accordi sindacali o commerciali. Nella NBA, la più importante lega professionistica americana di basket, questo è avvenuto quattro volte, anche se si tende a ricordare principalmente quello del 98-99, che portò di fatto alla cancellazione di metà stagione agonistica. Un lockout in NBA è una prova di forza dei proprietari che non vogliono garantire un miglior contratto collettivo ai giocatori; di solito le istanze della Player Association riguardano le percentuali di suddivisione dei diritti (televisivi, di merchandising, ecc…) di tutto il materiale prodotto e venduto dalla NBA. I giocatori si sentono (legittimamente) come il piatto principale dello spettacolo offerta dalla lega, e devono gestire una dura trattativa mentre non percepiscono stipendio. Anche se apparentemente assomiglia molto ad una lotta tra privilegiati milionari, tra le righe rappresenta (ad alti livelli, chiaramente) uno scontro socio-razziale, dato che la stragrande maggioranza dei proprietari è di etnia caucasica e la stragrande maggioranza dei giocatori è di etnia afro-americana. Il lockout è dunque l’ennesimo piano della vita americana dove i neri cercano di emanciparsi dal controllo dei bianchi, che guadagnano sul “loro” gioco, quello in cui eccellono.
Questa lunga premessa serve a comprendere il contesto di High Flying Bird, un film che decisamente non è per tutti, e che non a caso cita in più parti il seminale libro di Harry Edwards (che appare anche in un cameo) The Revolt of the Black Athlete. Senza le “pezze di appoggio” che ho descritto nel paragrafo precedente, è un po’ arduo immergersi in questa pellicola che vede come protagonisti il giovane Erick Scott e il suo agente Ray Burke durante un lockout. Erick è un rookie (una matricola, un esordiente), quindi la sua posizione è ancor più delicata: è stato scelto al draft alla posizione numero uno, ha firmato un contratto con una franchigia (i New York Knicks) ma non ha ancora percepito un dollaro da professionista; nel frattempo, però, con scelte anche avventate, si è esposto e indebitato per un mucchio di quattrini fornendo come garanzia il fatto che “sarà” un milionario. E’ sicuramente l’anello più debole della trattativa tra proprietari e Player Association, non è tutelato come star veterane che hanno già messo da parte decine se non centinaia di milioni di dollari.
Girato interamente con uno smartphone (un iPhone 8), High Flying Bird è un piccolo film con un piccolo budget (2 milioni), uno di quelli con cui Steven Soderbergh si mantiene lo status di regista alternativo pur avendo girato una vagonata di film di major ad altissimo costo. Lo script dal punto di vista drammaturgico è abbastanza semplice, delineando un personaggio per ogni parte in causa: oltre i due già citati protagonisti c’è l’avido proprietario (Kyle MacLachlan), c’è la rappresentante della Player Association (la mitica Sonja Sohn di The Wire!), il giocatore-rivale, il genitore-manager, l’allenatore dell’high-school dallo spirito purista. Tutti personaggi abbastanza tagliati con l’accetta nel ruolo che hanno, l’unica che spariglia, e che spariglierà in effetti l’intreccio è la ex-assistente di Ray, Sam (Zazie Beetz, già apprezzata in Atlanta). Non sperate di vedere basket giocato, questo film non è Hustle, il lockout viene rispettato anche in scena. Pur trattando un tema “serio” e sentito, Soderbergh non risparmia ai propri personaggi una serie di battute e sketch che starebbero bene in uno dei suo heist-movie.