Sinossi: Un muratore in crisi e un’imprenditrice insoddisfatta rimangono coinvolti in un incidente causato dalla rabbia al volante. La faida che segue fa emergere i loro istinti più cupi.
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Recensione
Beef è l’ennesima dimostrazione di come le migliori idee recenti nel mondo dell’intrattenimento visivo, che siano film o serie TV, arrivino puntualmente dalla (Sud)Corea.
Certo, in questo caso si sta parlando di un produttore americano (A24, i re Mida di quest’epoca) e di uno showrunner (Lee Sung-jin) già a suo agio con il mondo della serialità made in USA, ma il tocco si vede, e questo clash di generi riesce a portare lo spettatore dove vuole senza alcuna prevedibilità.
Pur essendo ambientato negli Stati Uniti, infatti, Beef è molto “asiatico” nel descrivere la comunità di immigrati di prima o seconda generazione che calcano le strade della California. Sono finiti da un pezzo i tempi in cui gli asiatici erano i personaggi di contorno, le macchiette marginali. Ora sono i protagonisti assoluti, e non è casuale che in questa satira sociale le vere macchiette (e dal destino più crudele) siano proprio i caucasici: la più grande sfida vinta da Beef, infatti, è quella di sovvertire la tipica narrazione mainstream dell’asiatico “buono”.
I protagonisti Danny (Steven Yeun) e Amy (Ali Wong), sono meschini e insopportabili, entrambi esibiscono tratti tossici e manipolatori. Tuttavia, non sono raffigurati come cattivi unidimensionali. La serie riesce a trovare il giusto tempo per scavare nel loro passato e far emergere i motivi del loro carattere, più simile di quanto essi siano disposti ad ammettere. Nulla è scontato o casuale in Beef: persino le etnie d’origine scelte per i vari personaggi hanno un senso nel rimarcare i loro caratteri. Se Amy è di origine cinese (lavoro, lavoro, lavoro), Danny è coreano (mentalità peninsulare, come gli italiani…e non è un complimento vista la famigliarità dei Cho con le attività illegali!). Non è casuale nemmeno che George, il privilegiato e frustrato marito di Amy abbia origini da una nazione fortemente patriarcale come il Giappone.
La scrittura di Beef è impeccabile nell’orchestrare le varie svolte narrative avviate da Danny e Amy (e non solo), in un avvitamento verso il basso che rende lo scontro sempre più duro e primordiale. L’abilità ulteriore sta nel non tenerli sempre “a contatto” ma nel far procedere delle storyline parallele in cui interagiscono con l’interessante cast di comprimari. Per la premessa iniziale, questa serie potrebbe finire in 2-3 maniere differenti, ma è improbabile, fino alla fine, capire quale sia l’epilogo dello scontro.
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