15 Luglio 2020

Hollywood

Genere: Drammatico

Showrunner: Ryan Murphy

Cast: David Corenswet, Jeremy Pope, Patty Lupone, Dylan McDermott, Laurie Harrier.

Stagioni: 1

Episodi: 7

Durata media: 50 minuti

Sinossi: Un ambizioso gruppo di aspiranti attori e registi nella Hollywood del secondo dopoguerra farà di tutto per realizzare il proprio sogno nel mondo dello spettacolo.

C'era bisogno di una riscrittura revisionistica della Mecca del Cinema negli Anni '50 con il classico casting diversificato "col bilancino" a cui Netflix ci ha abituati?

Probabilmente no. Il problema è che Netflix ha firmato un accordo da 300 milioni di dollari con Ryan Murphy, quindi una cosa come Hollywood era solo dietro l'angolo.

Il problema centrale è che sembra che nessuno dalle parti di Netflix cerchi di modella le idee di Ryan Murphy come facevano in FX. Murphy è uno showrunner indubbiamente brillante, ma dalla firma con la piattaforma di streaming ha prodotto solo due serie, lo zoppicante The Politician e questa mini-serie che reinventa l'Età dell'Oro di Hollywood in un modo in cui solo Murphy avrebbe potuto, sebbene nessuno glielo avesse chiesto. Si tratta, senza ombra di dubbio, del più grande flop della sua onorata carrierea.

Proprio come Quentin Tarantino ha fatto in "C'era una volta ... a Hollywood", Murphy fonde la storia con la sua visione ampiamente revisionista, ma il risultato non è così toccante e segnante come quello di Tarantino. Ne viene fuori un risultato crudele e semplicistico. Il progetto di Murphy sembra suggerire che il razzismo sistemico e l'omofobia a Hollywood fossero principalmente il prodotto di emarginati che non si sforzavano abbastanza per fermarlo.

In realtà ha il coraggio di far parlare un personaggio del "rifiuto di accettare ancora la vergogna", come se persone come Rock Hudson fossero state marginalizzate perché accettavano la vergogna. È una visione infantile di problemi profondi che esistono ancora oggi (vedi le proteste di Black Lives Matter), aggravati dal modo in cui Murphy tratta le persone reali dell'epoca come caricature e poi le circonda con noiosi giovani attori.

Almeno il suo Feud, seppur divisivo, aveva alcune scene memorabili per attirare gli spettatori oltre gli aspetti storicamente discutibili. Niente di simile in questo caso, ad eccezione di qualcosa del supporting cast, non c'è niente da salvare in Hollywood che lo avvicini minimamente ai picchi produttivi di Murphy. Questo è un promemoria di quanto le sue idee possano ritorcerglisi contro quando non è guidata in un prodotto coerente.

Ambientato dopo la seconda guerra mondiale, Hollywood è la storia di giovani che si intersecano nel tentativo di farcela nel settore. Si inizia con la storia di Jack Castello (David Corenswet), un giovane che cerca di trovare scritture cinematografiche ma che finisce per lavorare come gigolò in una stazione di benzina gestita dallo scaltro Ernie (Dylan McDermott). Una delle clienti di Jack è Avis Amberg (Patti LuPone), moglie di Ace Amberg (Rob Reiner), capo di un grande studio di fantasia. E uno dei colleghi di Jack finisce per essere Archie Coleman (Jeremy Pope), un giovane scrittore di colore gay che si innamora di uno dei suoi clienti, il ragazzo che sarebbe diventato Rock Hudson (Jake Picking).

L'ultima sceneggiatura di Archie, "Peg", parla della tragedia di Peg Entwistle, un'attrice britannica che realmente saltò giù dal cartello di Hollywoodland nel 1932. All'inizio, la trama della storia di Entwistle - così come quella di Anna May Wong (Michelle Krusiec) - sembrano dei modi per riportare alla luce alcuni artisti perduti di Hollywood. Non può sorprendere che uno con la cifra stilistica di Murphy si sia avvicinato alla tragedia della Entwistle, una che ha usato il simbolo del sistema che ha distrutto i suoi sogni per porre fine alla sua vita. Ma uno dei tanti problemi con "Hollywood" è il modo in cui la storia di Entwistle diventa un semplice nutrimento per il focus di Murphy sulle sue meravigliose creazioni.

Questa non è una storia di esclusi, ma di persone geneticamente benedette che trovano il successo. Se Murphy pensa che stia distruggendo i preconcetti sull'età d'oro di Hollywood, perché scrivere e lanciare dei personaggi così banali e noiosi e poi far realizzare tutti i loro sogni? Abbastanza discutibile, tra le varie cose, come Murphy rappresenta Rock Hudson, ovvero come un povero stupido. Uno che non riconosce Vivien Leigh sul set, o che non riesce a ricordare poche righe di un copione. È quasi come se Murphy stesse cercando di punire Hudson invece di guardare al sistema che lo ha costretto a rimanere "nascosto".

Alla fine di Hollywood, dovremmo immaginare il mondo migliore che Murphy ci ha mostrato e cosa sarebbe successo per i succesivi settant'anni se la sua storia revisionista fosse stata realtà. Invece, viene solo voglia di andare a (ri)vedere un film di Rock Hudson per ricordare la sua eredità e cercare una comprensione più sfaccettata di ciò che effettivamente era.

Hollywood
Il Verdetto
"Hollywood" non solo fallisce come serie, ma tenta un commento sociale che può essere definito offensivo. Ryan Murphy cerca di proporci una revisione storica "più inclusiva", ma finisce solo con appiattire i personaggi veri, affiancandoli a degli originali del tutto noiosi e monocorde.
Il parere dei lettori0 Voti
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4.5

Foto da Hollywood

hollywood

Commenti 1

  1. Halston | Serie TV | Recensione, dove vedere streaming online

    […] penso a Feud, e mi sento ottimista. Se lo associo ad una serie Netflix penso a The Politician e Hollywood, e lo sono molto […]

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